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Human Hands

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Gli Human Hands presumo siano ancora un culto di e per pochi, ma in realtà c’è stato un giorno di qualche anno fa in cui tutti sapevano della loro esistenza. Mi viene solo da ipotizzare, perché un paio di annetti fa sono stati compagni degli indimenticati Verme in uno split tape rilasciato da Eat A Book Records, la stessa etichetta che ha fatto uscire i loro dischi (uno solo, in realtà, e un numero esiguo di ep e split), quindi presumo che tutti sapessero di loro per quelle 24 ore. Idem per i Well Wisher, con cui i Verme hanno suonato oltremanica, ma non saprei nemmeno dire qualcosa con precisione, rimane però che la tradizione (per usare un termine che funga anche da sinonimo di ‘scena’) punk è evidentemente attiva in Inghilterra e gli Human Hands ne sono l’ennesima prova, sebbene siano ormai inglesi per 2/3 (nativi di Birmingham, ora in un ménage à trois con Stratford upon Avon e Reykjavik, quindi coraggiosissimi nel portare avanti un gruppo sebbene le distanze massicce che li separano).

Come da usanza, i tre vengono da un passato recente di split, demo, ep macinati per un po’ di anni e con i quali si sono fatti strada per arrivare con molta molta calma al disco intero, dopo una gestazione di due anni circa causata dallo spostamento in pianta stabile di uno di loro in Islanda e impegni vari, affinando però un suono meno crudo e più lento che nasce con il 7” del 2011 e da lì è progredito discostandosi dalle canzoni veloci e più immediate – e anche meno marcate dalle influenze slowcore e non che hanno costruito la base della più recente uscita – presenti nella cassetta (pure questa omonima, come il disco e l’appena citato sette pollici) . Human Hands è un abbuffata di ritmi lenti e suoni sporchi e abrasivi (sempre che l’aggettivo abbia un senso), registrati in presa diretta e senza sovraincisioni, sottoforma di canzoni nate un paio di anni fa e portate a termine durante il tour giapponese dello scorso anno. La distanza ha messo loro di fronte a grandi ostacoli, ma gli ha offerto anche l’opportunità (la scelta) di focalizzarsi maggiormente sull’attività live, momento in cui hanno avuto la possibilità (o l’obbligo) di provare le canzoni del disco nel momento stesso in cui le suonavano. Non penso che tutti riuscirebbero a resistere a questo tour de force, o almeno non a tutti sarebbe riuscito di scrivere un disco del genere in quelle condizioni. L’intensità della forza con cui questo disco si trascina in avanti ti prende lentamente per le spalle e ti gratta via il primo strato di pelle fino alla faccia. Human Hands è un abbuffata di Slint, Codeine, Moss Icon, Indian Summer e le fotocopie delle locandine dei Fugazi appese sopra il letto. Una sola chitarra, sezione ritmica e voce dolorante che non ha nessuna fretta di sputare parole dentro al microfono.

Lista di parole googlate durante la stesura del post:
– presto e bene
– David Pajo
– Yaphet Kotto

Quest’anno oltre al disco uscirà anche un ep (o un altro disco) di cinque canzoni e dovrebbe esserci un tour europeo durante l’estate.

 


Archiviato in:emo Tagged: eat a book records, human hands

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